L’uso dei mattoni nelle murature risale a circa il 5000 a.C. e fu sviluppato prima dalla civiltà Caldeo-Assira e successivamente da quella Babilonese.
L’uso dei mattoni nelle murature risale a circa il 5000 a.C. e fu sviluppato prima dalla civiltà Caldeo-Assira e successivamente da quella Babilonese.
Gli Etruschi reinterpretarono il sistema murario di quelle antiche popolazioni senza tralasciare quel fondamentale elemento rappresentato dall’uso della volta e dell’arco che, estraneo alla stessa cultura Greca, permise loro di trasmettere tali conoscenze tecniche alla civiltà Romana.
È infatti sotto la spinta della Roma Imperiale che l’uso della muratura in laterizio trova larga ed approfondita applicazione.
Le insulae residenziali dell’Urbe erano infatti normate con murature portanti in laterizio cotto che potevano raggiungere i 4 piani di altezza.
Dal Medioevo attraverso il Rinascimento e fino all’Ottocento, il sistema di costruzione murario fu assolutamente legato al sapiente uso del mattone che assicurava, oltre ad una notevole resistenza statica, comfort ambientale e naturale configurazione estetica.
Nell’arco dei secoli furono utilizzati, nelle murature portanti in mattoni, vari sistemi di aggregazione concatenanti i singoli elementi che erano, di volta in volta, disposti in posizione detta di punta o di fascia.
Le diverse disposizioni furono codificate e denominate a chiave o testa, a blocco, alla gotica o polacca, alla fiamminga.
Oggi questi sistemi murari, che solo cent’anni fa erano talmente conosciuti da apparire quasi scontati, sono di fatto del tutto dimenticati nel loro uso peculiare in quanto sostituiti da anonime strutture in cemento armato o freddi telai in acciaio.
Nel XII secolo a.C. un popolo orientale, giunto per mare dalla Lidia in Asia minore, occupò la regione situata nell’Italia centrale a nord del Tevere mescolandosi alle popolazioni indigene e gettò le basi di quella che sarà poi chiamata Etruria.
Questo popolo che soggiogò i Latini ed i Pelasgi era conosciuto come Tirreni ma si autodefiniva popolo dei Rasenna.
I Rasenna, aristocrazia di conquistatori, era una razza di migranti e costituiva probabilmente una esigua minoranza dell’intera popolazione dell’Etruria.
La grande differenza di carattere e di cultura degli Etruschi rispetto agli altri popoli Italici, li fa ritenere indubbiamente venuti direttamente da lontani paesi di antica cultura.
Anche gli scrittori Romani (Plinio / Varrone / Vitruvio) ritenevano che gli Etruschi fossero giunti in Italia per mare dall’oriente e avessero portato con loro dalle terre di origine il mitico “Lydio”, antico mattone in argilla avente quale misura di riferimento il piede (29,60 cm).
Gli Etruschi furono chiamati dai Romani Etrusci o Tusci e dai Greci Tyrsenoi o Tyrrenoi.
Lo storico greco Erodoto (484 – 430 ca a.C.) assunse che gli Etruschi provenissero dall’Anatolia occidentale ed infatti nelle sue famose Storie racconta che, per una grave carestia che aveva colpito la Lidia nel XIII secolo a.C., Atys figlio di Manes divise il suo popolo in due gruppi affidando a Tirreno quello indicato da un sorteggio.
Un’antichissima reminiscenza storica dell’Egitto (XIII secolo a.C.) ci presenta i Turuscha, (probabilmente gli Etruschi) o Tirseni (venuti di là dal mare) che piombano sul basso Egitto, ma sono ricacciati da Ramses II.
L’invasione dell’Egitto da parte di popoli del mare venuti da Oriente, i Tirreni, fallì e quindi questi ultimi verosimilmente si spinsero sulle coste dell’Italia centrale.
La tradizione che giunge dagli stessi Etruschi e fa risalire la fondazione di Roma originata all’eroe troiano Enea che sposò Lavinia figlia del Re Latino, nella versione più antica dello storico Ellanico di Mitilene (490 – 400 ca a.C.), cita i Lidi stessi quali colonizzatori dell’Etruria.
È il poeta greco Stesicoro, nel VII secolo a.C., il primo a porre in Italia la meta del viaggio di Enea dopo la caduta di Troia fissata da Eratostene come data al 1182 a.C.
Riscontri archeologici in cui si conservano i resti dell’antica Lavinium, dove Strabone ha tramandato l’esistenza di un Tempio dedicato ad Afrodite (Venere), sono stati rinvenuti presso l’abitato odierno di Pratica di Mare e possono far pensare ad uno sbarco di profughi alla foce del Tevere in quell’epoca così arcaica (XII secolo a.C.).
Altri ritrovamenti, in una necropoli datata X secolo a.C., documentano il culto di Vesta e degli Dei Penati che anche i Romani ritenevano fossero quelli portati da Enea.
Vi sono vari elementi di riscontro che fanno supporre un collegamento diretto a ritroso tra la civiltà Etrusco-Italica e la città di Troia con le antistanti isole, tra cui quella di Lemno.
Nel II millennio a.C. Troia era situata infatti sul confine di un’area che aveva relazioni esterne sia con i Micenei che con gli Ittiti ed inoltre godeva di una posizione ottimale essendo un importante centro regionale dominante il nord-ovest della Mongolia e delle isole Egee settentrionali.
Ciò nonostante, ed apparentemente in maniera inspiegabile, in quell’area si parlava una lingua che non aveva nulla in comune con tutte le altre delle civiltà confinanti.
Questa lingua non decifrata ma che probabilmente era una derivazione dell’antico Luvio è scolpita in una pietra funeraria (Stele di Lemno) con figura di guerriero in basso rilievo; circondata da una lunga iscrizione in un dialetto che risulta essere assolutamente affine all’idioma parlato e scritto dagli Etruschi.
Una ricerca filologica accurata permette di collegare ancora a ritroso la lingua “Minoica”, riportata nella scrittura lineare “A” ritrovata nell’isola di Creta prima dell’avvento della dominazione Greca, con quella stessa Anatolica-Luvia apparentata alla Etrusco-Lemnia.
La fine della civiltà minoica e di quella lingua fu determinata quasi certamente da un cataclisma naturale con l’eruzione nel 1650 a.C. del vulcano Santorini che si suppone essere all’origine della leggenda narrata da Platone sul regno perduto di Atlantide.
La lingua Etrusca rimane però ancora non del tutto decifrata; solo è certo che di essa si possono determinare due distinti periodi.
Il primo, ricco di suoni vocalici e di forme più piene, il successivo più povero e scarno.
Quest’avvicendamento deve ritenersi come un indizio di una modificazione etnica e culturale fra il popolo dei dominatori e quello dei conquistati.
Compiuta la colonizzazione, si costituirono in Italia tre grandi confederazioni, di 12 città ciascuna: Etrusca propria o centrale, Circumpadana e Campana.
Ognuna di queste dodici città-stato era governata da un Lucumone e la lega etrusca era la confederazione di questi rettori tribali. Nelle iscrizioni funerarie delle tombe etrusche troviamo le forme Laukane Laukanesa, dove la seconda indica la moglie del primo.
Il significato etimologico della parola lucumone è quindi semplicemente il gran khan. Il sistema di governo etrusco – dispotismo tribale e federazione tribale – è essenzialmente teocratico ed offre un impressionante contrasto con i normali sistemi di governo democratico prevalenti fra le popolazioni semitiche ed ariane.
I maggiorenti ed il popolo delle 12 città dell’Etruria Centrale (Tarquinia – Vulci – Vetulonia – Cerveteri – Arezzo – Chiusi – Roselle – Volterra – Cortona – Perugia – Volsinii – Populonia), in occasione della grande festa annua di Voltumna che si celebrava in primavera, si riunivano presso il lago di Bolsena.
La confederazione dell’Etruria Padana era invece costituita da 12 città (Felsina – Misa – Modena – Parma – Piacenza – Mantova – Melzo – Ravenna – Cesena – Rimini – Adria – Spina) e quella dell’Etruria Campana comprendeva le altre 12 (Anzio – Capua – Nola – Cuma – Acerra – Aversa – Napoli – Sorrento – Pompei – Nocera – Cava dei Tirreni – Pontecagnano).
Il maggior merito degli architetti Etruschi è quello di aver portato in Italia l’organismo architettonico ad archivolto che era costituito da cunei concorrenti al centro dell’arco o della volta e che determinò poi una delle più grandiose e secolari evoluzioni dell’architettura stessa.
Con la struttura dell’arco gli Etruschi, come dimostra il Ponte di Bulicame presso Viterbo, inaugurarono l’era dei ponti in muratura.
L’uso dell’arco e della volta non fu accidentale od occasionale ma funzionale ed organico, riprese senza dubbio la tecnica caldeo-assira ed è certo che gli Etruschi, trasmettendone la conoscenza ai Romani, determinarono una differenziazione sostanziale tra l’architettura Italiana voltata e quella Greca ed Egizia architravata.
Il “Mattone Lidio”, patrimonio di quelle antichissime civiltà di cui gli Etruschi erano discendenti, fu da loro portato in Italia e poi tramandato ai Romani insieme alle tecniche di produzione ed uso.